sabato 25 dicembre 2010

Brasile: la maggioranza non è più silenziona

L’attenzione mondiale è stata richiamata dalle recenti elezioni brasiliane. Questa attenzione era giustificata, vista la crescente importanza del Paese. Ma era anche strumentale alle aspettative che vincesse il candidato della sinistra, Dilma Rousseff, epigono del presidente uscente Lula. Dilma ha vinto, ma non nel modo aspettato. E, soprattutto, nel corso della contesa elettorale sono venuti fuori fattori che hanno sbaragliato i progetti della sinistra.


Demagogia


La sinistra prospettava una schiacciante vittoria già al primo turno, sospinta da diversi fattori. Il principale era la fiorente situazione economica del Paese.
 
Brasile è oggi la sesta economia del mondo. Ma questo non è affatto merito di Lula. Anzi. Il Brasile ha raggiunto questo status malgrado i suoi disegni socializzanti. In otto anni di mandato Lula non ha potuto alterare la struttura economica del gigante latinoamericano. I successi economici del Brasile non sono da accreditare a Lula né al governo del PT (Partito dei lavoratori), come dicono molti in Italia, bensì all’enorme dinamismo dell’impresa privata.

Un altro fattore che faceva la sinistra sperare in una facile vittoria già al primo turno erano le politiche demagogiche mese in atto da Lula, come la “bolsa família”. Oggi in Brasile chi non vuole lavorare può ricevere sussidi statali che possono raggiungere l’equivalente a quasi 1.000 euro al mese. Questo ha creato, soprattutto nel Nordest povero, un’immenso bacino elettorale-clientelare per il PT.

Un terzo, rilevante fattore in favore della sinistra era la vistosa assenza di un candidato di centro-destra, il ché ha lasciato senza espressione politica l’opinione pubblica conservatrice.


Emergono
 i veri problemi


La campagna elettorale era stata contrassegnata dalla mancanza di dibattito dottrinale e programmatico, inducendo il settimanale «Veja» a pubblicare una copertina totalmente in bianco.

Confidando che questo vuoto ideologico potesse attutire eventuali reazioni, Lula aveva lanciato il Terzo Piano nazionale dei diritti umani, adottato poi dalla candidato Dilma Rousseff. Si tratta di un vero progetto di legge costituzionale che, tra le altre cose, contempla l’aborto, il matrimonio fra persone dello stesso sesso, l’adozione di bambini da parte di queste coppie omosessuali, colpisce il diritto di proprietà, le libertà individuali, istituisce un regime di soviet in ogni categoria, e via dicendo.

E allora è successo l’imprevedibile: l’opinione pubblica conservatrice, che per ben otto anni era rimasta in silenzio, è esplosa. Usando ogni mezzo a disposizione, è cominciato un tam-tam di protesta che è andato in crescendo fino a imporre i temi che veramente interessano il pubblico, in primo luogo l’aborto.
 
Dilma Rousseff è subito corsa ai ripari, dichiarandosi contraria all’aborto e garantendo che non avrebbe presentato nessun progetto in questo senso. Questo in barba alle sue ben note posizioni reiterate anche nel corso della campagna politica.

Questo dibattito ha squarciato dall’alto in basso il tessuto dell’opinione pubblica. Secondo recenti sondaggi, ben il 73% degli elettori è contrario alla depenalizzazione dell’aborto.


Parlano
 i vescovi


Ma le sorprese non erano ancora finite.

Nonostante il suo orientamento sinistrorso, il PT contava sul massiccio appoggio di settori ecclesiastici, contaminati dalla Teologia della liberazione. Questo appoggio era, anzi, il fondamento della sua forza politica. I vescovi conservatori non facevano sentire la loro voce. “Vescovi silenziosi” li aveva chiamato Plinio Corrêa de Oliveira nel 1976.
Questo è cambiato da quando mons. Aldo Pagotto, vescovo di Paraíba, è intervenuto affermando che i cattolici erano moralmente tenuti a difendere i valori morali anche in campo politico, dovendo quindi negare il voto ai candidati abortisti o laicisti.

Come un pianto liberatorio, diversi vescovi e sacerdoti, e perfino organismi della Conferenza episcopale, hanno cominciato ad alzare la voce denunciando il PNDH3 come fortemente nocivo ai valori cristiani. In senso contrario si sono pronunciate certe burocrazie ecclesiastiche per cercare di indebolire questi vescovi.
In questo modo, non solo l’opinione pubblica, ma anche il mondo ecclesiastico, finora presentato come favorevole al PT, o quantomeno silenzioso, si è pure spaccato da cima in fondo, facendo venir fuori energie conservatrici che più di uno aveva dichiarato ormai perse.

Si pronuncia il Vaticano


Stando così le cose, i vescovi della Regione Nordest si sono recati in Vaticano in visita ad limina. Cogliendo l’occasione, Benedetto XVI ha indirizzato alla Chiesa in Brasile un’allocuzione che non pochi ritengono storica.

“Quando i diritti fondamentali della persona o la salvezza delle anime lo esigono, i pastori hanno il grave dovere di emettere un giudizio morale,  persino in materia politica — ha detto il Papa — Sarebbe totalmente falsa e illusoria qualsiasi difesa dei diritti umani politici, economici e sociali che non comprendesse l’energica difesa del diritto alla vita dal concepimento fino alla morte naturale”.
Il Pontefice chiude con un monito: “Quando i progetti politici contemplano, in modo aperto o velato, la decriminalizzazione dell’aborto o dell’eutanasia, l’ideale democratico — che è solo veramente tale quando riconosce e tutela la dignità di ogni persona umana — è tradito nei suoi fondamenti. Pertanto, cari Fratelli nell’episcopato, nel difendere la vita «non dobbiamo temere l’ostilità e l’impopolarità, rifiutando ogni compromesso ed ambiguità, che ci conformerebbero alla mentalità di questo mondo»”.


Vittoria
 di pirro

Sbaragliando tutti i pronostici, Dilma Rousseff non ce l’ha fatta al primo turno, fermandosi al 46%. “La disfatta dei profeti”, titolava il settimanale «Veja». La sinistra, che fino a quel punto aveva liquidato la mera ipotesi di un ballottaggio come “un delirio dell’opposizione”, si è dovuta piegare.

Al ballottaggio, la candidata di Lula è stata eletta col 56% dei suffragi, mentre il suo avversario, José Serra, si fermava ai 44%. Vittoria, dunque, del PT. Ma i numeri vanno presi con le molle.
Nelle elezioni del 2006, Lula aveva ottenuto un 60,83%, contro un magro 39,17% dell’oppositore Geraldo Alckmin. Il PT ha quindi sofferto un netto calo di consensi. Dilma ha ottenuto, in numeri assoluti, 47.651.434 voti, il ché rappresenta appena il 35,08% degli elettori. Ben lontano dall’80% di popolarità sbandierata dalla sinistra. L’opposizione ha vinto negli Stati del centro-sud, responsabili per l’80% del PIL nazionale, mentre il PT si è aggiudicato quelli più poveri del Nordest, beneficiari dei sussidi.
Ma, soprattutto, c’è il fatto che, per spuntarla nel secondo turno, Dilma Rousseff ha dovuto proclamare ai quattro venti di non essere a favore dell’aborto, né delle unioni omosessuali, né contraria alla proprietà privata, né ai simboli religiosi nei luoghi pubblici, ecc., ecc. Vale a dire, ha dovuto smentire clamorosamente se stessa, pagando un pesante tributo all’opinione conservatrice che nel frattempo si era fatta sentire.


La
 TFP: polo di pensiero

Oltre alla rinascita d’una opinione pubblica conservatrice, nella contesa elettorale brasiliana si è palesato un altro importante fattore: la continuità della TFP come polo di pensiero nazionale.

Per dipingere i due candidati correndo ai ripari davanti alla valanga conservatrice, il maggiore quotidiano brasiliano, la Folha de S. Paulo, ha pubblicato la vignetta che riproduciamo sopra. In essa, Dilma Rousseff appare come una signora un tanto bacchettona che, inginocchiata, accende candele ai santi, a simboleggiare la sua frenetica caccia al voto cattolico. Il suo oppositore, José Serra, è invece rappresentato come un militante della TFP in campagna di strada, con in mano lo stendardo rosso col leone rampante.
Questo non corrisponde affatto alle posizioni di Serra, piuttosto social-democratiche, ma dimostra comunque una profonda verità: nell’inconscio dei brasiliani l’idea di cattolicesimo militante coincide con quella del membro della TFP.

Ciò conferma, del resto, una convinzione del prof. Plinio, cioè che nel Brasile il suo movimento costituiva “un polo di pensiero”. Questo vuol dire che quando si pensa ai grandi problemi nazionali o della Chiesa, il brasiliano si fa quasi automaticamente la domanda: “e che posizione prenderà la TFP al riguardo?”

Un’altro esempio. Reagendo all’allocuzione di Benedetto XVI ai vescovi brasiliani sopra citata, un organo della sinistra radicale inveiva contro “questo patetico Papa il cui orizzonte mentale è quello di un attivista della TFP”. In altre parole, il criterio per definire conservatrice la posizione del Pontefice, è il paragone con la TFP.

E anche qui da noi, il Manifesto, organo di Rifondazione comunista, ritiene la TFP un criterio di destra in Brasile. “Dilma ha vinto. Per fortuna — commenta Maurizio Matteuzzi — Sarebbe stato un disastro se avesse perso e fosse passato Serra, il prestanome delle pessime destre autoctone come Tradizione Famiglia Proprietà” (il Manifesto, 2-11-10).

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