venerdì 16 novembre 2012

Grillo non è liberale, ma è meglio dei partiti storici

di FABIO CINTOLESI Da qualche tempo, anche su queste “pagine”, si fa un gran parlare di Beppe Grillo e del suo movimento. Dato che il sottoscritto fa parte di un meetup (così si chiamano i gruppi locali di questo movimento) oramai dal 2007, credo di essere persona che ha qualche titolo per scrivere della cosa; sicuramente più di molti che in quest’ultimo periodo hanno parlato di cose che conoscono appena o non conoscono affatto. Intanto, la prima considerazione: Beppe Grillo non è un liberale, tantomeno un liberista. La cosa positiva è che non ha la pretesa di esserlo o di raccontartelo. Chi scrive non è innamorato di Grillo; però gli riconosce il merito, unico tra i vari leader politici, di non aver partecipato al sacco di questo Paese. E scusate se è poco.
Il problema è che nell’attuale panorama politico, di liberali (a fatti e non a chiacchiere) non se ne vede manco l’ombra. Tanto per dire: l’unica battaglia liberale che si è vista in Italia negli ultimi cinque anni (la raccolta di firme per i referendum per l’abrogazione del finanziamento pubblico ai giornali e dell’ordine dei giornalisti) è stata fatta da uno che non ha la pretesa, come ho detto prima, di essere un liberale. Dove fossero su questo e su altri temi i libberali de noantri non è dato sapere, ahimè. Un altro merito (liberale?) che conferisco a Grillo è quello di aver attratto verso l’attività politica tantissimi giovani. Gente attiva, attenta e motivata. Ovviamente c’è la cima e quello meno dotato, ma niente a che vedere con i “giovani” dei partiti “tradizionali”; quasi sempre dei veri e propri cloni dei propri dirigenti. A questo va aggiunto l’uso preponderante della rete per la diffusione del proprio messaggio politico. Questi due aspetti porteranno, se già non lo stanno facendo, ad uno “svecchiamento” (non solo generazionale, ma anche culturale) della politica in Italia. Di questo, a mio avviso, beneficeranno anche i giovani liberali che militano nei vari partiti, spesso non persuasi della necessità di liberarsi di tutta una serie di vecchie cariatidi, per poter finalmente iniziare una fase nuova e, speriamo, autenticamente liberale. Anche perché, chi ti ha portato al disastro non può essere la stessa persona che risolverà i problemi.
Un altro merito che si può senza tema di smentita attribuire a Grillo è quello di non aver creato l’ennesimo partito “padronale”, ma un movimento “in franchising”. I partiti della seconda repubblica, si sono tutti distinti per l’essere diretta emanazione di leader che, oltre che esserne fondatori, sono dei veri e propri padroni assoluti dei rispettivi orticelli più o meno grandi. Il potere intermedio, dei vari ras locali, non deriva dall’appoggio della base, ma dal favore conferito dal “sovrano” al feudatario di turno. E questo meccanismo si ripete a scendere, dai “colonnelli” fino all’ultimo caporale. All’interno di queste strutture i singoli che fanno eccezione sono ben pochi, mentre l’unico partito “plurale”, come il PD, appare più come un aggregato di signorie feudali, che non una struttura con un grado di democrazia interna accettabile.
La struttura del movimento di Grillo, invece, condivide con gli altri partiti solo la genesi, cioè la risposta di un gruppo di persone ad un leader autoproclamato. Per il resto, siamo su un altro pianeta. Beppe Grillo offre un marchio (le famose cinque stelle) e richiede ai gruppi locali che si formano sul territorio di onorare le indicazioni programmatiche (la carta di Firenze) e le norme statutarie (il cosiddetto non-statuto).
Mi si obbietterà che Grillo è il padrone del marchio. Vero, ma essendone il legittimo proprietario esercita semplicemente il suo diritto di proprietà. La vera novità è che Grillo non interferisce mai o quasi negli affari interni dei vari meetup. Men che meno si preoccupa di avere uomini di propria fiducia in ogni singolo consiglio comunale o in ogni singola lista. Dico questo perché ho potuto verificarlo di persona. Persino nei casi di problemi interni (si sa, le liti accadono anche nelle migliori famiglie) gli interventi di Grillo e del suo staff sono fatti col contagocce e controvoglia. Anche di questo sono testimone oculare. Questo è, in ultima istanza, il vero motivo per cui Grillo può rinunciare ai finanziamenti pubblici per i partiti. Non già grazie all’uso della rete, o meglio, non solo grazie a quello; ma soprattutto, a mio avviso, perché questa struttura “in franchising” non costringe a mantenere costose burocrazie di partito dedite alla trasmissione del volere del centro verso la periferia del partito; praticamente a far da eco alle esternazioni quotidiane del capo.
La vittoria del Movimento Cinque Stelle alle ultime elezioni amministrative ha dimostrato, se ce ne fosse stato bisogno, che il finanziamento pubblico ai partiti non è necessario all’attività di una forza politica, ma anzi è l’ostacolo principale alla loro democratizzazione interna. Ma forse divago. Se questo assetto del movimento di Grillo verrà mantenuto o ci sarà un’involuzione verso una forma più simile ai partiti attuali non è dato sapere. Questa è l’attuale connotazione organizzativa di questo movimento. Può essere criticata quanto si vuole ma, per usare il motto di Einaudi, è sempre meglio conoscere per deliberare.
Per quanto riguarda il programma politico, e soprattutto la sua parte economica, la critica a Grillo di non avere un programma economico serio credo possa essere condivisibile. D’altronde non si sa chi possa dire di avercelo. Non ce l’hanno i partiti e men che meno il governo o la commissione europea. Forse la BCE, ma anche qui nutro qualche dubbio. Le dichiarazioni estemporanee di Grillo, tese a cercare consenso fiutando di giorno in giorno l’umore del pubblico, dicono tutto e il contrario di tutto. Un giorno nel blog viene ospitato Bruno Tinti, discutibile alfiere della lotta all’evasione fiscale; dopo pochi giorni lo stesso Grillo tuona contro chi dice che se tutti pagassero le tasse si risolverebbero i problemi, neanche si ispirasse al buon Leonardo Facco.
In questa ridda di dichiarazioni si fatica a ritrovare un tratto comune, se non la rabbia urlata (a ragione) contro la casta. Prima di cimentarsi in critiche o filippiche, credo sia meglio molto semplicemente leggersi il programma (che su questo giornale è stato analizzato da Stefano Magni).  E’ un po’ lungo e, per quello che mi concerne, raramente i programmi molto lunghi troveranno attuazione, anche parziale. Se qualcuno avrà la voglia di leggerlo, converrà con me che non è un programma liberale. La domanda che pongo al paziente lettore è questa: questo programma è meno liberale dei programmi (e soprattutto della prassi) degli altri partiti?
Al di là dei programmi, i segnali che colgo dall’interno del movimento spesso non sono univoci. Sono presenti le consuete ideosincrasie anticapitalistiche, ma non più di quanto siano presenti in tutta la società italiana. Ad esempio, poche settimane fa ho avuto occasione di dibattere con due consiglieri provinciali del PdL sui temi della tassazione: avrei avuto difficoltà a distinguerli da esponenti della sinistra comunista o ex comunista. Va detto comunque che non c’è una matrice ideologica cristallizzata al punto da impedire un dibattito sulle migliori soluzioni da adottare di volta in volta per problemi specifici. Prevale un certo livello di pragmatismo, almeno tra i componenti del movimento che ho avuto occasione di incontrare.
Accanto alla mobilitazione per l’acqua pubblica o contro il nucleare, molte liste locali (compresa quella di Sarego che ha eletto il primo sindaco grillino d’Italia) hanno messo nero su bianco la volontà di far gestire lo smaltimento dei rifiuti ad una società privata (e trovatemi qualcuno che ha proposto di privatizzare questo servizio). Non c’è una visione chiarissima su cosa sia “pubblico” e cosa sia “privato”. Si scambiano le società per azioni di proprietà comunale per società private, confondendo l’essere enti di diritto privato con l’assetto della proprietà. Si parla di acqua pubblica, ma non si sa se in mano dello Stato, dei comuni o di società ad azionariato diffuso. Ma anche questa confusione di termini e concetti è un problema che si riscontra un po’ in tutti gli strati della società civile e ci vorranno anni, se mai sarà possibile, per sanare i danni di un’informazione ed una cultura collettivista predominante che (in omaggio al dettato gramsciano) ha bombardato le menti di tanta, troppa gente con l’idea che il libero mercato sia il problema e l’intervento dello Stato la soluzione.
Data la forza che sta assumendo, sempre di più, questo movimento sarà oggetto di critiche, comprese quelle di chi pensa di fermarlo; come se il problema non fosse di fermare questa partitocrazia corrotta, predona ed ignorante che ci sta portando velocemente al collasso economico. Gente da associare alle patrie galere e non da invitare ai dibattiti pubblici. Perché chiedere ai nostri interlocutori della propria condotta morale riguardo all’uso dei nostri soldi non è atto illiberale ma di mero buonsenso. Credo siano da evitare le critiche a prescindere, tenendo presente che molte di queste persone è gente per bene e che è meglio interloquire con persone in buona fede, anche se con idee diverse dalle tue, piuttosto che dialogare con soggetti privi di qualsiasi scrupolo morale travestiti da illusori liberali. Le critiche immotivate, poi, accentuano quel senso di “accerchiamento” che talvolta può colpire questi movimenti, finendo per innescare meccanismi di autodifesa basati sull’autoriconoscimento dei propri membri come “puri”, contrapposti agli “impuri” al di fuori. Un settarismo deleterio ed esiziale da cui questo movimento per adesso è stato piuttosto immune.
Al di là del dialogo e del confronto, alcune battaglie del Movimento Cinque Stelle potrebbero essere tranquillamente sostenute da ogni liberale: dall’abolizione del finanziamento pubblico ai giornali ed ai partiti, all’abolizione delle province, fino all’abolizione dell’ordine dei giornalisti ed all’abolizione del CIP6, cioè degli incentivi agli inceneritori (una battaglia meritoria che potrebbe benissimo accomunare chi vuole meno tasse e chi vuole tutelare l’ambiente e la nostra salute).
Insomma, luci ed ombre; affinità e divergenze…
Fonte: http://www.lindipendenza.com/meetup-grillo-politica/

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