Situazione economica (prov. Biella)
Riassunto tratto da articoli pubblicati su “ il Biellese” - rubrica “Economia”
Numeri di settembre ed ottobre 2010
Premessa storica territoriale
La realtà industriale biellese (prettamente tessile), ha radici lontane (non antiche) con caratteristiche totalmente diverse dalla realtà tessile del pratese (in particolare) ma anche di altre zone tessili d’Italia (vedi la zona di Vicenza in Veneto, casertano, la zona di Carpi in provincia di Modena o la Puglia in generale. Questo porta oggi, ad avere una situazione economica e di sviluppo futuro del territorio particolare, che si fonde poi anche con le caratteristiche del territorio, il suo decentramento rispetto alle vie principali di comunicazione ed al carattere stesso della gente autoctona.
La zona del Biellese, viene interessata storicamente dall’industrializzazione fin dalla prima metà dell’ottocento, quando con le riforme messe in atto da Carlo Alberto prima e da Cavour dopo, la borghesia (ma anche le poche famiglie nobili locali) vengono incentivate ad investire in imprese industriali. Ciò si materializza nella nascita ex novo, di industrie soprattutto tessili grazie alle grosse quantità d’acqua disponibili, e i salti altimetrici disponibili nelle nostre valli per la trasformazione dell’acqua in energia.
Fin da subito, le imprese biellesi, assumono dimensioni davvero notevoli, industriali appunto. Gran parte delle aziende infatti può rifornirsi di una enorme quantità di mano d’opera che altrimenti sarebbe in difficoltà a nutrirsi dato l’asprezza del territorio prettamente collinare e montano, richiamandone anche dai territori circostanti, l’alto canadese e la valsesia.
Ad esempio, nel paese natale del mio nonno paterno, Andorno, ad inizio del 1900, in sole due realtà tessili, lavorano oltre 3000 persone, mentre nel paese a valle ne lavorano circa 2000 in un'unica realtà. Oggi questi due comuni dopo un secolo, assieme non arrivano a 5000 residenti.
Questa grande massa di mano d’opera impiegato comunque, porta a due conseguenze, un diretta riguardante l’organizzazione prettamente industriale basata sulla parcellizzazione dei processi lavorativi ed una indiretta riguardante la sindacalizzazione delle masse lavoratrici.
In tutto il resto d’Italia invece, l’industria tessile, si sviluppa (non nasce) per evoluzione delle piccole e piccolissime imprese artigianali esistenti fin dal medioevo.
Questo porta ad avere, sul finire degli anni 90 del secolo appena passato a situazioni paradossali confrontando il biellese con le altre zone citate.
Nel biellese, con la contrazione della domanda, le crisi economiche attraversate negli anni ecc. l’economia locale entra in crisi, si perdono molti posti di lavoro, e le grosse fabbriche passano da 1000 operai a 50 addetti mantenendo però la mentalità rigida della fabbrica sindacalizzata e organizzata per livelli, mentre nel resto d’Italia, pur soffrendo le stesse pene, anche le imprese di 1000 persone oggi ridotte ai 100 o ai 50 addetti, hanno mantenuto la mentalità famigliare dell’impresa artigianale di antica origine.
Non occorre essere dei premi Nobel, per capire che, oggi questa caratteristica risulta essere un vantaggio immediatamente spendibile sul mercato della globalizzazzione, che chiede soprattutto flessibilità e capacità immediate di cambiamento. Capacità che le aziende tessili biellesi fanno fatica a mettere in campo.
A questa difficoltà si aggiungono, tutta una serie di fattori, che in generale, riducono ancora la competitività delle aziende tessili (italiane e quindi anche biellesi), quali i costi energetici eccessivi dati da una politica nazionale miope, la possibilità incentivata per anni dal governo di delocalizzare all’estero parti di processo o interi processi produttivi, e poi una legislazione sul Made in Italy, che anche rivista quest’anno, rimane uno scandalo a favore dei disonesti e delle aziende più grosse e quotate, costringendo alla chiusura gli onesti e le aziende più piccole.
Il nostro risulta inoltre essere un territorio di margine e non di transito che sta vivendo uno spopolamento ed un isolamento molto evidente.
Ma un territorio dovrebbe, vistosi precludere le sue tradizionali possibilità, poter trovare vie nuove di sviluppo. Entriamo invece nell’inferno finale di una società morente che fa di tutto per anticipare il suo ultimo respiro.
Lo spettacolino della politica nazionale incentrata sul fare e disfare nell’alternanza di maggioranza e opposizione infatti, è perfettamente replicata anche a livello provinciale nel biellese. Una mentalità ambientalista auto castrante poi, indotta negli ultimi 15 anni da veri terroristi sociali, sta soffocando ogni altra possibilità.
E così abbiamo più volte detto di no, a strade, nuovi poli industriali, a possibilità emergenti ad esempio nel trattamento dei rifiuti, nel suo riciclo, o nel suo impiego (termovalorizzatori) per trasformarlo in energia. Abbiamo detto di no alla realizzazioni di un prototipo di centrale cippato, e addirittura ad un impianto sul recupero dei gas bio compatibili… tutte realtà che altrove (nonostante le difficoltà burocratiche) sono riuscite ad avviarsi ed oggi creano ricchezza sui territori ospitanti.
Alla luce di questa premessa spero non noiosa, che ho fatto per darti un quadro utile ad inquadrare la situazione ad oggi 5 novembre 2010, faccio seguire i dati economici (ma non solo) caratteristici della nostra Provincia :
Evasione fiscale, redditi e consumi
Da una analisi fatta per province dal Centro Studi Sintesi risulta che in Provincia di Biella l’evasione fiscale è un fenomeno non radicato, sporadico insomma. Le famiglie in media spendono ciò che guadagnano. Il reddito pro capite, risulta tra i più alti d’Italia, mentre i consumi si mantengono in media al di sotto delle possibilità. L’analisi particolareggiata dei consumi fa emergere che siamo ai primi posti per spesa alimentare, ma risparmiamo in energia. Sicuramente la riduzione sensibile del numero di aziende e del numero di ore lavorate dalle superstiti incide su questo valore, ma non bisogna neppure dimenticare che i biellesi sono famosi per parsimonia anche più dei genovesi.
Alto il valore delle auto ogni 100 abitanti, pari a 67, dato fortemente influenzato da un territorio in gran parte montano, dove i servizi pubblici sono impraticabili quando non assenti.
Credito e investimenti
Ci viene in aiuto uno studio della Cgia di Mestre, che indica l’esposizione media delle imprese suddivise per provincia.
Milano la più esposta 418.000 euro circa per azienda, poi Brescia 324.000 e Siena 297.000. Biella si tiene a debita distanza 120.000 Euro circa su una media nazionale di 176.596.
Lo studio che mette a confronto dati di 10 anni registra che la crescita in questo periodo è stata del 93,6 % a livello nazionale con una inflazione del 23 %media nazionale. La provincia di biella, che ha avuto un incremento costante in questo periodo (tra il 1999 e il 2008) pur registrando valori assoluti pari al 50% di quelli nazionali (l’industriale biellese non ama le forti esposizioni con le banche, confermando la parsimonia di cui sopra) ha subito una battuta d’arresto con inversione di tendenza nell’ultimo anno e mezzo. Ciò e stato provocato da un lato dalla stretta creditizia delle stesse banche e dall’altra dal calo brutale degli investimenti nelle aziende.
Insomma, gli industriali biellesi hanno tirato i remi in barca e stanno a guardare.
Occupazione
Il numero degli occupati continua a scendere da anni. Nel solo ultimo anno, sempre da fonte Cgia di Mestre apprendiamo che il saldo sarà negativo di circa 1100 unità. Sale così a circa 6800 il numero dei biellesi in età lavorativa senza occupazione, portando il tasso di disoccupazione al 6,7 % contro l’8,3 % di Torino e 7,6 % di Novara. Tutte le altre province piemontesi risultano messe meglio. Ricordiamo che il Tasso medio nazionale è attualmente del 7,8.
Un’indagine di Unioncamere però, prevede che il tasso medio nazionale, giungerà all’8,7 %% nei prossimi 12 mesi, con un ulteriore saldo negativo di circa 178.000 posti di lavoro. Non ci è dato di sapere quanto sarà salato il conto da pagare per la provincia di Biella, ma essendo il trend occupazionale biellese negativo da anni 10 almeno, non lascia ben sperare.
E’ un dato di fatto che la popolazione residente in Biella capoluogo, si sia ridotta di circa 9000 unità negli ultimi 10 - 12 anni, sintomo inequivocabile di declino endemico del territorio, al di la degli alti e bassi dell’economia in generale.
Confartigianato contemporaneamente lancia un allarme per quanto concerne il lavoro nero. Biella tra tutte le province italiane si piazza a metà classifica (53° posto, mentre la più virtuosa tra le piemontesi, Cuneo, si piazza al 32° posto
Inflazione
Tendenzialmente in provincia si registra un calo dei prezzi al consumo (medio) secondo gli indicatori NIC e FOI (periodo settembre 2009 – settembre 2010), con una inflazione media annua calcolata in +1,2 % contro la media nazionale del +1,6 %
Gli aumenti più vistosi riguardano l’istruzione +1,8% ed i servizi sociali in genere
Prospettive future
Artigianato – Le indagini congiunturali rilevano un recupero delle attività produttive artigianali sul territorio. Anche l’umore è cambiato, la differenza ottimisti – pessimisti rimane negativo, - 2%, ma l’anno passato il valore era di - 52 % !
L’occupazione è prevista in crescita, su tutti i settori, tranne che per il tessile e l’edilizia, che sono la massa.
Gli artigiani fanno notare a maggioranza un aumento dei costi, il 56 % lamenta una pressione fiscale insopportabile ed il 46 % problemi legati al mercato
38% di preoccupati sulla situazione finanziaria, e di aver riscontrato un aumento dei margini bancari sui fidi concessi.
Il 29% inoltre dichiara di aver ricevuto un rifiuto da parte delle banche alla richiesta di nuovi finanziamenti.
Industria – Nel secondo semestre 2010, continua il Trend positivo della produzione, che tra aprile e giugno era stato del + 24,7 % contro una media piemontese dell’11,6 %. Trainanti, le industrie metalmeccaniche e di finissaggio tessile (nobilitazione tessuti)
Le previsioni restano positive su tutte le voci in generale, ma per quanto concerne il tessile occorre ricordare che gli occupati oggi, sono meno della metà di 15 anni fa, e che le aziende rimaste, debbono “sopportare” da sole ormai gli alti e bassi delle richieste, giungendo in fretta alla piena produttività quando appunto c’è richiesta.
Il saldo ottimisti – pessimisti segna un + 8,5 % contro il – 11 % dell’anno passato.
Commercio – Dopo un 2009 da dimenticare completamente, il 2010 chiude ancora negativo con un calo del giro d’affari del 19, 7 %. Previsioni ancora pessimistiche in generale, ma tra i vari settori vi sono sensibili differenze… Per esempio, nella somministrazione sono pessimisti il 78 % degli intervistati, mentre tra gli orafi, gli ottimisti sono 80 % !!!
Cooperative – In aumento le imprese sul territorio, che sono oggi 309 (+ 2,3 %). Il loro volume d’affari è considerato stabile in generale, con il 33% che dichiara un aumento del volume, contro il 17 % circa che dichiara una contrazione del volume d’affari.
Gli addetti di questo settore risultano a maggioranza a contratto determinato (80,2 %), il 18, 1 % a tempo indeterminato, e 1,7 % con contratto a progetto.
Di questa massa di lavoratori, il 12,4 % è costituita da stranieri.
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Concludendo, l’economia in provincia è sostanzialmente “ferma”, pur con la previsioni di aumenti produttivi anche per il prossimo anno, il ricorso alla Cassa Integrazione è previsto solo parzialmente in calo.
Le banche si dichiarano pronte a tutto, ma poi alla prova dei fatti non concedono i liquidi richiesti, la politica locale è senza idee e fa le stesse proposte utopiche da anni senza mai indicare o favorire una via credibile e fattibile. Le persone che contano, sono sempre le stesse, non hanno bisogno di arricchirsi ulteriormente e non si vede all’orizzonte una possibilità di ricambio.
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