Serbia e Kosovo hanno raggiunto un accordo sulla “normalizzazione” dei loro rapporti, con la benedizione dell’Unione Europea. Se non si tratta di un riconoscimento dell’indipendenza kosovara da parte della Serbia, poco ci manca. E l’Unione Europea, che in questo decennio annovera ben pochi successi e moltissime frustrazioni, non vedeva l’ora di definirlo un risultato “storico”, che potrebbe porre fine a 10 anni di ostilità armata e 14 di alta tensione.
L’accordo è stato firmato lo scorso 19 aprile dai premier delle due parti: Hashim Thaci per Pristina e Ivica Dacic per Belgrado. “I negoziati sono conclusi – ha commentato l’Alta Rappresentante europea Catherine Ashton – Il testo è stato sottoscritto da entrambi i primi ministri. Voglio congratularmi con loro per la loro determinazione in questi mesi e per il coraggio che hanno avuto. E’ molto importante che ora abbiamo quel che consideriamo un passo avanti rispetto al passato e, per entrambi, un passo avanti verso l’Europa”.
In base all’accordo il Kosovo viene, di fatto, diviso su linee etniche. Le municipalità del Nord, a maggioranza serba, godranno di ampia autonomia. Si formerà, all’interno del Paese autoproclamatosi indipendente, una “Comunità di Municipalità” a maggioranza serba. Si tratterà di una comunità aperta: anche altri comuni potranno chiedervi l’adesione, previo referendum e loro accettazione da parte sia di Pristina che di Belgrado. La Comunità sarà creata per legge costituzionale (abrogabile solo con una maggioranza qualificata dei 2/3). Solo un referendum delle municipalità interessate potrà scioglierla. La Comunità avrà sue competenze esclusive, quali: sviluppo economico, istruzione, sanità, pianificazione urbana e rurale, più competenze aggiuntive che dovessero essere delegate dalle autorità centrali. La Comunità avrà un ruolo di rappresentanza presso le autorità centrali e avrà un posto nel consiglio consultivo delle comunità. La polizia rimarrà unita in un solo corpo per tutto il Kosovo. Ma nel territorio della Comunità delle Municipalità, dovrà essere costituita e comandata da agenti di etnia serba. Anche la magistratura sarà una sola e opererà nel quadro giuridico del Kosovo, ma verrà costituita una Corte d’Appello a parte (con sede a Mitrovica) a maggioranza serba per giudicare i casi all’interno della Comunità. Un serbo che dovesse subire una condanna discriminatoria da una corte albanese, dunque, avrebbe sempre la possibilità di ricorrere in appello a Mitrovica, dove verrà sempre giudicato in base al diritto kosovaro, ma da giudici plausibilmente meno carichi di pregiudizi.
Entro il prossimo 26 aprile sarà stilato dalle due parti un calendario di attuazione di questo primo accordo. Continueranno, invece, le trattative per la suddivisione di energia e telecomunicazioni.
In base al patto firmato ieri, Belgrado e Pristina si impegnano solennemente a non ostacolarsi l’una con l’altra nel processo di integrazione europea.
Il principio che regge l’accordo è il federalismo. Sulla carta, se il Kosovo fosse la Svizzera di oggi, funzionerebbe perfettamente. La Svizzera ha già attraversato e superato la sua fase di conflitto civile più di un secolo e mezzo fa. Il suo sistema, calato nella realtà kosovara, dove i serbi del Nord (temendo l’annientamento) sono ancora sul piede di guerra, l’accordo potrebbe saltare in men che non si dica. Un punto critico è costituito dalla polizia comune, ma etnicamente divisa. Inevitabilmente si arriverà a conflitti fra ufficiali e agenti serbi e albanesi, se la struttura rimarrà la stessa. Basta attendere che una delle due parti disattenda l’ordine dell’altra…
Anche la formula adottata per la magistratura è pericolosamente instabile. Si verrebbero a creare conflitti fra due corpi di magistrati etnicamente divisi, ma teoricamente uniti sotto lo stesso ordinamento. Il primo giudice serbo che assolverà un serbo condannato da un magistrato di primo grado albanese… o viceversa, potrebbe già creare la precondizione di una guerra civile. Soprattutto se il caso sarà grave, riguarderà una strage, la distruzione di un luogo-simbolo o, comunque, scalderà l’opinione pubblica, il conflitto sarà inevitabile.
Già che abbiamo fatto l’esempio della Svizzera: uno dei motivi per cui la Confederazione regge alla prova dei secoli è il suo carattere multinazionale, ma non etnicista. Nessuno parla di “giustizia per i tedeschi” o di “polizia per gli italiani”: c’è semplicemente una magistratura che giudica in base a norme condivise e una polizia che mantiene l’ordine, senza badare alla lingua parlata dagli agenti. Eppure, in Svizzera, italiani, tedeschi e francesi vivono sotto lo stesso tetto, senza combattersi da un pezzo. Il Kosovo, al contrario, è stato “diviso” in base alle etnie. E questa è sempre stata garanzia di conflitto (vedi Bosnia, vedi Croazia, vedi la stessa ex Jugoslavia, costituita da repubbliche etniche). Di fatto, quando la Nato se ne andrà definitivamente, rimarrà ben poco per tenere a freno le tendenze centrifughe delle due etnie.
Il principio seguito dall’Unione Europea, sulla carta, è corretto: si prende atto che un Paese è diviso e si provvede a ritagliare spazi di autonomia per la minoranza. Ma con questo negoziato ha dimostrato ancora una volta di non saper andare fino in fondo: avrebbe potuto creare un’enclave serba e chiedere alla popolazione locale se avesse preferito dichiarare l’indipendenza o restare nel Kosovo. Un referendum è già stato fatto (e ignorato) e risultava una vittoria degli indipendentisti quasi al 100%.
Tuttavia, che a Bruxelles se ne rendano conto o meno, il punto più importante dell’accordo è l’ultimo: l’impegno di Belgrado e Pristina a non ostacolarsi a vicenda nel loro percorso di integrazione nell’Ue. Se i precedenti hanno un senso, in base a questo principio, Madrid non dovrà più ostacolare l’eventuale domanda di adesione della Catalogna all’Ue. Né l’Inghilterra lo potrà fare con la Scozia. I veneti e i lombardi, in Italia, prendano nota.
Fonte:
lindipendenza.com/laccordo-fra-serbia-e-kosovo-apre-la-strada-ue-alla-catalogna/
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