Dopo un anno di annunci mediatici, da parte del Ministro alla Funzione Pubblica, la riforma della Pubblica Amministrazione si è rivelata un vero e proprio bluff. Sebbene la riforma inizialmente abbia ottenuto dei risultati positivi, anche per via dell’effetto della campagna “antifannulloni”, ora le deficienze del suo impianto originario ed in particolare le profonde lacune attuative, rischiano di naufragare nella più classica delle trappole, la nostra burocrazia e la lotta tra le burocrazie per la salvaguardia delle sfere di competenza. L’attuazione della riforma, di fatto, ha investito le Amministrazioni Pubbliche, di nuovi adempimenti burocratici, andando a gravare una situazione già di per sé (in conseguenza alla scelta dissennata di operare un taglio indiscriminato agli organici del personale con il blocco del turn-over) ai limiti del possibile. La performance e la valutazione individuale, sono state le parole chiave attraverso le quali, il Ministro Brunetta, aveva promesso al paese una radicale trasformazione della vecchia e rugginosa Amministrazione Pubblica. Ad esse si accompagnava un complesso sistema di premi e di sanzioni, sino al licenziamento per scarso rendimento, sostenuto da una rivisitazione in chiave privatistica del ruolo del dirigente. Ma l’impianto organizzativo generale e le complicate e farraginose procedure di produzione dell’atto amministrativo e l’organizzazione interna restavano tali e quali. Considerato che il fulcro della riforma è costituito dalla valutazione dalla misurazione della performance individuale è conseguente che premi e sanzioni ne siano i corollari obbligati. Ma le risorse per i premi economici sono scomparse azzerate dalla legge di stabilità, che ha congelato le retribuzioni e tagliato le risorse. Inoltre, proprio la presenza nella riforma di alcuni elementi fortemente prescrittivi e punitivi nei confronti del personale, non hanno fatto altro che deprimere il senso di appartenenza e la reputazione di tanti dipendenti pubblici. Il risultato non poteva essere che un fallimento annunciato! Per cambiare realmente e rendere la Pubblica Amministrazione più efficiente e competitiva, si devono prima risolvere i problemi a livello organizzativo e mettere mani sull’intero sistema. Si deve puntare sul valore del fattore “Pubblico” e valutare con meticolosità l’impatto dell’azione amministrativa, in un ambiente spesso privo di parti con cui confrontarsi. In definitiva, l’interesse dei cittadini e delle imprese, che hanno seguito con attenzione e favore questa riforma, era attratto dalla promessa di una trasformazione in positivo dei servizi offerti dalle Pubbliche Amministrazioni. Invece di puntare su questa aspetto, la riforma si è concentrata nel colpire il singolo dipendente, attraverso il meccanismo del premio e della sanzione che, alla collettività, oltre che leggere una notizia in più nella cronaca dei quotidiani, non ha portato nulla! Il motivo per il quale è stato mancato l’obiettivo, è che la sanzione per il singolo dipendente è diventato il vero cardine di tutta la riforma, attribuendo anche alla valutazione e alla performance una valenza fortemente, se non esclusivamente, punitiva. Resta molto singolare inoltre, che per organizzare il tutto, si è creata una Commissione di Valutazione che, oltre ad avere un costo rilevante per tutti i cittadini, non ha nessuna autonomia di potere, in quanto i suoi membri vengono nominati, e le retribuzioni stabilite, dal Governo. Ma anche sul versante della democrazia sindacale la riforma Brunetta non ha mantenuto gli impegni nonostante la tassatività della norma. L’articolo 65, comma 3, del decreto legislativo “Brunetta” sebbene avesse, in deroga all’articolo 42, comma 4, del predetto decreto legislativo n. 165 del 2001, prorogato gli organismi di rappresentanza del personale anche se le relative elezioni erano state già indette, aveva stabilito che “le elezioni relative al rinnovo dei predetti organismi di rappresentanza si svolgeranno, con riferimento ai nuovi comparti di contrattazione, entro il 30 novembre 2010”. Parole, nonostante scritte sulla carta, al vento. Infatti il decreto legge del 30 dicembre 2009, n. 194, coordinato con la legge di conversione del 26 febbraio 2010, n. 25, ha quindi ulteriormente prorogato la rappresentatività delle Organizzazioni Sindacali, ai fini della partecipazione alle trattative per i rinnovi dei Contratti collettivi di lavoro per gli anni 2010/2012, sulla base dei dati già accertati per il biennio contrattuale 2008/2009. Questa situazione produce una profonda, ingiustificata discriminazione fra le sigle Sindacali. Una palese intollerabile forzatura delle regole che si traduce in un ingiustificato vantaggio per quelle organizzazioni che con il differimento del voto mantengono diritti e guarentigie sindacali che non gli spetterebbero. Per queste ragioni, la Ugl ha proclamato lo stato di agitazione delle categorie del pubblico impiego, perché occorre restituire centralità al sistema pubblico, superando quella descrizione del servizio pubblico pregiudizialmente rappresentato come poco produttivo, inefficiente, lento, pachidermico viziato da burocratismo e refrattario alla modernizzazione, che è il fondamento ideologico della riforma brunetta e ripristinare la democrazia della rappresentanza dei lavoratori, oggi, calpestata dalle decisioni dilatorie del Ministro della Funzione Pubblica.
Vittorio Baccelli - Commissario regionale Toscana Autonomie Ugl
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