A partire dal 1821 e fino al 1870 si concretizza quella che storicamente è definita “L’Unità d’Italia”. Sbaglia chi inquadra questo periodo come mera questione politica: il Risorgimento fu la celebrazione di valori universali come l’umanità, la solidarietà e la fratellanza sotto un unico vessillo…
Il 17 marzo 2011 sarà festa nazionale. Tra l’altro esclusiva di quest’anno, poiché si festeggeranno i centocinquant’anni dell’Unità d’Italia. Quello che potrebbe essere una lieta circostanza che avvicina tra loro gli italiani ha altresì innescato sterili polemiche e più di qualche protesta. C’è chi dice che è una festa irrinunciabile, proprio perché avviene una sola volta, perciò da celebrare. Altri rumoreggiano perché capita di giovedì, un giorno come un altro, utile alle maestranze – della serie “in Italia (a dire di qualcuno) si lavora ancora troppo poco”…. Infine, c’è qualcuno convinto che ognuno deve comportarsi secondo la propria coscienza.
Nei fatti è stato o no stabilito che il 17 marzo sia festa? Bene, allora si festeggi, per sentirsi tutti uniti, ed esser riconoscenti a chi ha dato i migliori anni della propria vita per costruire il nostro Bel Paese! Quello che si palesa come una matassa da sbrogliare è quindi in realtà una questione di facile soluzione.
Ciò detto, emerge un’evidente strumentalizzazione atta a minimizzare il significato intrinseco del festeggiamento. Perché proprio quel giorno?, insiste qualche mente maliziosa. Come mai non farla di sabato o domenica? E il valzer dei se, dei ma, dei forse e dei perché ha preso il via e sembra destinato a proseguire fino al fatidico evento.
Per quanto concerne il giorno lavorativo e i relativi brontolii, basti ricordare che, lustri or sono, i proprietari terrieri ancora tuonavano quando i braccianti si recavano alla messa di domenica. Sì, perché secondo i possidenti persino il giorno del Signore era necessario al provento. E così, quando qualche prete di campagna si appellava alla sensibilità dei ricconi affermando che la domenica era giorno di preghiera (e di riposo), era bollato come pericoloso socialista. Probabilmente ai latifondisti era del tutto sfuggito il De Rerum Novarum di Leone XIII e soprattutto il messaggio inconfutabile d’apertura alle masse che il Pontefice aveva voluto significare in quell'enciclica sociale.
Ritornando alla vexata quaestio – festa sì o no – seppur da posizioni differenti bisognerebbe far prevalere il buon senso, aspetto che da un bel po' manca nel nostro quotidiano. Abbondano invece apatia e qualunquismo, proprio alla vigilia del centocinquantesimo. Spiace costatare che questa cerimonia non scalfisca il cuore degli italiani, giovani e anziani. È la triste verità purtroppo, anche se la colpa non è tutta del popolo: l’impressione è di una decisa mancanza di slancio ed entusiasmo dall’alto. Chiamiamolo pure esempio, tanto per semplificare il concetto! È così tra indecisioni, tentennamenti e impegni vari, questa giornata rischia di scivolare anonimamente nel dimenticatoio.
Disertare un appuntamento così significativo equivale a soffocare la memoria collettiva rinunciando al dialogo con il passato. Peggio, equivale a non ravvivare quella fiammella che idealmente arde nel cuore di ognuno di noi: senso di patria (e appartenenza) non certo come anacronistici flirt nazionalistici, bensì quale tributo a chi ha lottato anima e corpo affinché questo lungo lembo di terra potesse chiamarsi Italia. Buon 17 marzo a tutti.
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