Carcere e legge stabilita' : il grido d'allarme del
personale
penitenziario
di
Mauro W. Giannini
A
luglio 2012, la Corte dei diritti dell'uomo ha
stabilito che
lo Stato è responsabile per il suicidio di un
detenuto
che abbia mostrato problemi psicologici e tendenze
suicide
ove l'amministrazione non abbia messo in atto
adeguate misure
di prevenzione e controllo a seguito di segnalazione
del servizio
medico competente, violando conseguentemente
l'articolo 2
(diritto alla vita) e l'articolo 3 (divieto di
trattamenti
inumani o degradanti) della Convenzione europea dei
diritti
dell'uomo. E' una sentenza da ricordare oggi, nel
momento
in cui le scelte in materia di personale carcerario
contenute
nel Decreto Legge 95 del 6 luglio 2012, con la
relativa legge
di conversione ormai approvata, rischiano di
peggiorare una
situazione già preoccupante.
Proprio
per denunciare tale situazione, i dirigenti
penitenziari avevano
scritto al ministro Paola Severino ed al Capo del
Dap Luigi
Tamburino per sottolineare che , produrrà un effetto
devastante
nel sistema penitenziario. l’ultima immissione in
ruolo di
direttori di istituto risale al 1997 e di direttori
di Uepe
risale al 1998 e che di contro, dal 2005 al 2012,
sono stati
immessi in ruolo n. 516 commissari di polizia
penitenziaria,
a cui è stato attribuito il compito di assicurare
l’ordine
e la sicurezza all’interno degli istituti,
avvalendosi del
corpo di polizia, composto, al 31 agosto 2012, da n.
37.127
poliziotti penitenziari. In conseguenza di queste
scelte,
ogni istituto ha in forza uno o addirittura più
Commissari,
ma neanche un Direttore titolare, per cui il potere
di assumere
decisioni importanti per la vita di tutto l’istituto
e quindi
di tutti i detenuti, oltre che degli altri operatori
civili
presenti (Educatori, Psicologi, Contabili,
Amministrativi)
viene demandato a professionalità che rappresentano e
sono
responsabili direttamente soltanto di uno dei
compiti dell’istituzione.
I
funzionari Giuridico-Pedagogici hanno invece appena
predisposto
una petizione per il Ministro della Giustizia per
evidenziare,
anche con dati numerici, la netta disparità che
attualmente
esiste nel sistema penitenziario tra controllo e
trattamento.
Per
Paola Giannelli, Segretario Nazionale Società
Italiana Psicologia
Penitenziaria, si tratta di "aspetti entrambi
necessari
che, se fossero in equilibrio, potrebbero produrre:
sicurezza
per la comunità, riabilitazione per i detenuti.
Viceversa,
quando si parla dei problemi del carcere si riduce
tutto a
due punti: il sovraffollamento (problema
drammaticamente reale)
e la carenza del personale di Polizia Penitenziaria
che non
sembra essere così grave, o almeno, lo è molto meno
rispetto
a quella del personale del trattamento e di questa
funzione
che è in estinzione".
Nella
lettera-petizione, i funzionari chiedono il rispetto
"delle
norme del nostro ordinamento che finalizzano il
compito dell’Amministrazione
Penitenziaria alla rieducazione del condannato
attraverso
un’azione tesa da un lato ad accertare “i bisogni di
ciascun
soggetto, connessi alle eventuali carenze
fisico-psichiche,
affettive, educative e sociali, che sono state di
pregiudizio
all’instaurazione di una normale vita di relazione”
(art 27
DPR 230/00), dall’altro alla RESPONSABILIZZAZIONE
DEL DETENUTO/CONDANNATO,
sia rispetto alla condotta che lo ha portato a
delinquere,
sia rispetto all’assunzione di impegni e
comportamenti utili
alla “tenuta” sul piano sociale in vista del suo
ritorno allo
stato libero".
La
lettera al ministro Severino chiede quindi "di
realizzare
la coraggiosa scelta di “educare” l’opinione
pubblica, trovando
il coraggio di affermare che “certezza della pena”
corrisponde
a qualcosa di ben più complesso che alla semplice
equazione
punizione=sicurezza. A testimonianza di questo
parlano i fatti.
In poco più di trenta anni si è, di fatto, consumata
la spinta
ideale che aveva prodotto una riforma penitenziaria
fra le
più avanzate d’Europa. La riforma è datata 1975 e
l’immissione
dei primi operatori cosiddetti “del trattamento”
all’interno
degli istituti penitenziari e nell’area penale
esterna (educatori
e assistenti sociali) è avvenuta nel 1979. Con
grande fatica
e indicibile spirito di adattamento questi operatori
hanno
lavorato all’abbattimento delle barriere fra carcere
e città,
producendo un proliferare di iniziative di civiltà,
con il
contributo di enti locali, associazioni di
volontariato, singoli
cittadini, e dei molti operatori amministrativi e
poliziotti
penitenziari che hanno saputo cogliere l’elemento di
progresso
ed interesse professionale in una concezione della
pena che
avesse caratteristiche non solo di umanità ma anche
strumento
di ricostruzione del patto sociale infranto con il
reato.
Il clima interno così modificatosi ha permesso fra
l’altro
la drastica riduzione di situazioni di conflitto e
violenza
fino a quel momento all’ordine del giorno, relegando
ad un
passato che appariva remoto le rivolte dei detenuti,
i sequestri
degli agenti, i fatti di sangue fra gruppi rivali.
Un risultato
notevole – pertanto – proprio in termini di ordine e
sicurezza".
Nel corso degli ultimi anni, ricordano i fnzionari
Giuridico-Pedagogici,
si è assistito invece "ad un nuovo trend
ascendente
di episodi gravemente conflittuali, sempre
drammatici e talvolta
sanguinosi, fra i detenuti e fra detenuti e
operatori. Il
caso Cucchi è diventato emblematico per la crudezza
delle
immagini e la determinazione dei parenti, ma a
nostro avviso
la quantità e la qualità delle morti in carcere, il
numero
crescente di episodi di autolesionismo, la povertà e
la disperazione
della gran parte della popolazione detenuta,
testimoniano
di una deriva culturale, morale e sociale di cui il
caso Cucchi
è la punta dell’iceberg. Sentiamo il dovere -
afferma
la lettera - di mettere in dubbio l’opinione
diffusa secondo
la quale il “problema” carcere, di cui oggi si sente
parlare
più che in passato, sia generato principalmente dal
sovraffollamento
e dalla carenza di personale di polizia
penitenziaria. Il
sovraffollamento è un problema serio e reale, che
non può
che diventare tragico se la vita quotidiana scorre
all’interno
della cella per oltre venti ore al giorno, dove
persone di
etnie, religione e cultura diverse condividono uno
spazio
irrisorio, in cui il divario economico fra detenuti
pesa come
un macigno e rende i più diseredati ostaggio dei più
fortunati,
in una dimensione relazionale di forte dipendenza da
una autorità
vaga e contraddittoria, che pensa e fa troppo spesso
il contrario
di quello che afferma. In quanto alla carenza di
personale
di polizia, l’esperienza di altri paesi europei ci
dimostra
che il rapporto numerico agente/detenuto in Italia è
fra i
più alti e che forse il problema è piuttosto di tipo
culturale
ed organizzativo. Ad ulteriore riprova di ciò, si
segnala
che in l’Italia, di contro, il rapporto numerico
personale
addetto al trattamento/detenuto è fra i più bassi:
ed è proprio
quel personale che viene considerato da questo
Governo in
esubero."
Anche
104 Psicologi Penitenziari operanti in vari istituti
di pena
avevano scritto al Guardasigilli chiedendo un
intervento,
ma non vi sono stati ad ora esiti concreti. Giannelli
evidenzia che l'apporto della figura dello psicologo
"è
divenuto ormai virtuale: in media 5 ore al mese!" e
pertanto "I detenuti per i quali non è possibile
fare
un approfondimento psicologico restano in carcere,
alimentando
il sovraffollamento".
NB:
I CONTENUTI DEL SITO POSSONO ESSERE PRELEVATI
CITANDO L'AUTORE E LINKANDO
http://www.osservatoriosullalegalita.org/
http://www.osservatoriosullalegalita.org/12/acom/11nov1/0909maucarcere.htm
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